E' una questione di esempi!

Spesso, e da parecchio tempo, mi succede di riflettere su quella che è la realtà delle persone più giovani intendendo riferirmi soprattutto a coloro di età inferiore ai trentacinque anni circa;ovviamente,essendo italiana, pur sentendomi "cittadina del mondo", le mie saranno considerazioni in merito a chi vive nel continente europeo in cui, prevalentemente, le persone non conoscono certo i livelli di povertà diffusa di chi invece è nato nei continenti notoriamente più in difficoltà dai quali, nel corso dei secoli e tutt'ora, i primi sono giunti ad usurpare risorse di ogni tipo. Sposto subito l'attenzione dagli accenni appena fatti per occuparmi a parlare dei "più giovani". Sarebbe auspicabile che ciascuno crescesse in una famiglia serena, che desse ai figli una sorta di imprinting per quel che riguarda la formazione del carattere e, più ampiamente, della personalità;che,attraverso parole, atteggiamenti, comportamenti, ascolto e vera comunicazione, facesse conoscere loro i valori della vita, che li educasse alla fiducia in sé stessi:quella fiducia che permetterebbe loro di muoversi nel mondo con tranquillità e con un senso realistico della società (ed anche con un atteggiamento critico nei confronti della stessa). Criticismo orientato naturalmente in senso costruttivo. Ricordo che il tema che scelsi, nel 1978, alla maturità magistrale richiedeva di esporre il proprio parere, e di articolare il componimento, iniziando da una citazione dell'Abbe'Pierre che recitava pressappoco così - Come educare in un giovane il senso critico. - Fu, il tema, giudicato di ottimo svolgimento, che mi consentì di ottenere una buona votazione finale. Fu maggiore comunque la soddisfazione di aver espresso e commentato un argomento che, nel corso degli anni, mi ha sempre interessato. Visto che ho rammentato tale ricordo non posso ora fare a meno di constatare come, nel periodo post pandemia, si siano verificati gravissimi atti autolesivi da parte di ragazzi che, soprattutto nell'ambito degli studi universitari, non hanno psicologicamente retto ad esami non sostenuti o a difficoltà nello studio stesso. Unitamente alla sofferenza che questi gesti estremi, indipendentemente dall'età di chi li compie, mi provocano, fa veramente riflettere la presunta causa relativa a quello che viene considerato un insuccesso. Certamente, in questi giovani, ha prevalso, annientando la loro voglia di vivere, il giudizio estremamente negativo che essi hanno attribuito, non soltanto alle loro capacità ed allo studio profuso, bensì, e ciò è davvero sconcertante, alla loro intera personalità. Già il termine "successo"non mi è mai piaciuto ; credo che ogni persona, per vivere serenamente, non dovrebbe perseguire strade (una sarebbe appunto il cosiddetto successo) che divergono troppo dal proprio modo d'essere e di sentire; riferendomi all'istruzione è sì importante anzi fondamentale, fare proprie, esprimendomi semplicisticamente, le basi essenziali - della lettura, della scrittura e del far di conto-. Poi c'è chi, appassionato dello studio o comunque portato per esso, continua nell'istruzione più approfondita e specialistica e chi si dedica ad un'attività lavorativa fin dalla giovane età. Questo, appunto, nel rispetto delle proprie caratteristiche personali e dei propri talenti. Poi, assai spesso, per la necessaria autonomia economica, ci si trova a svolgere un'occupazione non proprio aderente a quanto detto sopra. Ma questo è un altro discorso. Ritengo inoltre che, fin dai primi anni dell'istruzione obbligatoria, si attribuisca troppa importanza al risultato, al cosiddetto voto, innescando inevitabilmente meccanismi di competizione e non invece di collaborazione(fautori di conseguenze altre sul piano della formazione anche del carattere) tra compagni di studio:una classe è un microcosmo anche di dinamiche relazionali. Peraltro si verifica che la famiglia stessa rinforzi simili comparazioni a scapito di aspetti, a mio parere, ben più importanti anzi valoriale. Vi dice nulla il nome di Julia Ituma? Pallavolista a livello professionale, diciottenne che, dopo una sconfitta della sua squadra in trasferta, si è tolta la vita. Immagino questa donna giovanissima che, in balia di quali tormenti e di una insostenibile disperazione, prende questa decisione.... e mi piange il cuore... penso a quei suoi coetanei o quasi che, troppo spesso (anche uno solo sarebbe troppo) arrivano a questo drammatico e sconcertante epilogo. Quanto siamo importanti, allora, noi adulti che come si suol dire-ne abbiamo vista tanta di acqua passare sotto i ponti-, per dar loro attenzione ed ascolto. Soprattutto esempi reali e e concreti di senso di responsabilità, di forza, di coraggio, di senso civico, di solidarietà umana. Chi, tra noi, ha anche incontrato quella patologia chiamata cancro (e ne è saltato fuori) si è reso intimamente conto della fragilità ed insieme della preziosità della Vita. Mi piace pensare ai nostri giorni, limitati, come a perle che, una via l'altra, vanno a comporre una grande collana. Mi sono sempre sentita molto vicina ai "più giovani", dai bambini ai giovani adulti; loro stessi, nell'incertezza di questo strano momento storico, sono spesso, per noi, di esempio. Mi viene in mente ora il ventenne che, un paio di mesi orsono, apri' tra la neve alta, un sentierino a casa mia, cosa che non ero in grado di fare. Ero ovviamente pronta a compensarlo economicamente: non ha voluto nulla. Per concludere questa mia dissertazione (le cose da scrivere sarebbero ancora tante) utilizzo queste parole: uno tra i significati più veri e profondi del nostro esistere consiste nel darci una mano a vivere, gli uni con gli altri. Con la vicinanza, i gesti concreti. Con atteggiamenti e con comportamenti che siano un esempio per chi li coglie.

 

Articolo a cura di Daniela Minozzi

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